Testimonianze

Testimonianze

Durante le riunioni ogni partecipante è invitato ad esprimersi liberamente. Le opinioni date dai partecipanti sono strettamente personali e riflettono solo il proprio modo di vedere le cose. Due membri possono evidentemente avere delle posizioni diverse riguardo alla stessa questione. Possono considerarsi come opinione d’Al-Anon unicamente i libri e gli opuscoli pubblicati da Al-Anon Family Group Headquarters, Virginia Beach, USA.

Allo stesso modo, le testimonianze che abbiamo pubblicato su questo sito – che sono messe tra virgolette e seguite dal nome dell’autore – sono personali.

Voi che percorrete questo sito, fate come se si trattasse di una riunione: prendete quello che vi piace e lasciate andare il resto!

Sull’alcolismo

“Quando ho cominciato a venire alle riunioni Al-Anon, ho sentito parlare della “malattia” dell’alcolismo. Alcuni partecipanti confrontavano questa malattia al diabete. In quest’ultimo caso, si tratta di un’allergia allo zucchero; nell’altro, di un’allergia all’alcol. Dicevano: “Non ci arrabbiamo con un diabetico perché è diabetico. Allora perché arrabbiarci con qualcuno che beve?”.

Non riuscivo a fare mia questa idea. Per me si trattava di un vizio, d’una mancanza di volontà e soprattutto di una mancanza d’amore e di rispetto nei miei confronti. Ebbene sì, credevo che mio figlio bevesse per farmi diventare matta, per vendicarsi di quello che non gli avevo dato, per contraddirmi. Credevo che bevesse contro di me e a causa mia.

Ho impiegato molto tempo ad accettare che la mia educazione o il mio amore per lui non erano messi in discussione. Piano piano, ho capito che aveva bisogno di bere e ho potuto vedere la sua sofferenza. Ho smesso di criticarlo, di colpevolizzarlo e ho provato a trattarlo come un adulto lasciando che si assumesse le responsabilità delle sue azioni.

Oggi mio figlio continua a lottare contro questa terribile malattia. Ha dei periodi d’astinenza per i quali sono grata. Perché ho finito di sentirmi responsabile della sua malattia, perché lo capisco meglio, perché ho smesso di giudicarlo, i nostri rapporti sono migliorati. E anche per questo, sono grata.

Janine

Bere, la punta dell'iceberg

“L’alcolismo non danneggia l’alcolista solo sul piano fisico, ma anche su quello mentale. Bere non è che la punta dell’iceberg, detto altrimenti, il sintomo più visibile. Gli alcolisti che ho frequentato, mio padre, mio fratello e mio marito, condividevano senza saperlo la stessa visione della vita. Tutti e tre rifiutavano d’assumersi le proprie responsabilità: era sempre la colpa di qualcun altro. Erano sempre la vittima di qualcosa o di qualcuno. Quando ho capito che pure questo faceva parte dell’alcolismo, ho smesso di volerli fare ragionare. Avevano bisogno che la società fosse contro di loro, che le cose andassero male per giustificare il loro consumo d’alcol. Da lì in poi, molti litigi sono stati evitati!”

Anne

Il rifiuto

“Quello che mi ha aiutato molto è stato capire che il rifiuto fa parte dell’alcolismo.

Prima di frequentare i gruppi Al-Anon, mi distruggevo nel tentativo di dimostrare a mia moglie che era alcolista. Cercavo di farle capire che il suo consumo era eccessivo, che non poteva smettere di bere quando voleva, che diventava insopportabile quando aveva bevuto. Non serviva a niente. Mi rispondeva sempre che lei era socievole e le piaceva divertirsi, e che io, al contrario, ero un rompiscatole. Sapeva che il suo consumo d’alcol era un problema, ma se me lo avesse confessato, avrebbe dovuto affrontarlo. E questo era quello che le faceva più paura. Frequentando i gruppi, ho capito che le mie parole erano inutili e che perdevo il mio tempo. Per aiutarla a uscire dalla sua negazione, ho invece smesso di nascondere agli altri tutto quello che non andava e ho lasciato che si assumesse le conseguenze delle sue azioni. Era difficile per entrambi, ma è quello che l’ha aiutata a guardare in faccia alla sua situazione.”

David

La sofferenza dell'alcolizzato

“Vivevo con un’alcolista da undici anni. La situazione era evidentemente insopportabile. Alle riunioni Al-Anon, alcuni dei partecipanti mi hanno incoraggiato ad andare agli Alcolisti Anonimi(AA), dove ci sono delle riunioni che non sono riservate solamente agli alcolisti ma sono aperte a tutti. Durante una di queste riunioni, un alcolista ha raccontato il suo percorso: la sua caduta all’inferno, il suo senso di colpa, il suo sentimento di nullità assoluta e infine la sua lotta per restare sobrio. La sua sofferenza mi ha sconvolto. Vivevo con un alcolista, ma non mi ero mai accorta che soffriva. Soffrivo troppo io stessa per vedere che soffriva. Questa nuova informazione mi ha insegnato a distaccarmi dalla sua malattia e a lasciarlo più libero di prendere le sue decisioni anche se non le approvavo.

Joëlle

Smettere di controllare il consumo di alcol

“Ci sono cose che ho impiegato molto a capire, ma ce n’è una che ho capito già dalla prima riunione: controllare il consumo d’alcol di un alcolista è un’illusione. Un alcolista beve perché ne ha bisogno, e troverà ogni mezzo per farlo! È vitale come respirare. Allora, al posto di passare il mio tempo a sorvegliare quello che beve, posso dedicare questo tempo a cose più interessanti.”

Beatrice

Sulla co-dipendenza

“Quando, per la prima volta, mi si è parlato della mia “malattia”, la co-dipendenza, ho aggrottato le sopracciglia. Facevo già fatica ad accettare che mia moglie fosse malata, io poi! Io che tenevo in piedi la baracca, pagavo le fatture, sorvegliavo. E se la mia malattia comportasse di non sapermi più divertire, di non poter più vivere senza l’altro, di far dipendere la mia felicità dal suo umore, di restare a casa la domenica per essere sicuro che non le succeda niente? E se la mia malattia fosse di distruggermi lentamente con il dolore e lo sconforto e d’aver smesso di vivere.”

Alain

Ripetere sempre la stessa cosa

“La co-dipendenza significa fare la stessa cosa centinaia di volte sperando sempre in un risultato diverso. Centinaia di volte ho parlato con l’alcolista, gli ho strappato delle promesse, ci ho litigato, ci siamo picchiati. Risultato: niente. Nessun cambiamento. E comunque, ogni volta, ci credevo. Ogni volta pensavo che ci sarei riuscita, che era la volta buona e che lui aveva capito. Era la mia negazione, il mio modo di non voler affrontare il problema.”

Nicole

La negazione

“Oggi non vivo più con un alcolista. Certi comportamenti assimilati stando accanto a un alcolista continuano però a persistere e mi fanno sempre soffrire, più precisamente la mia tendenza a negare la realtà. Quando accade qualcosa di grave, io faccio come se non la vedessi. Mi corazzo, mi manipolo e mi convinco che non provo niente. Ed è così che mi ritrovo incapace d’agire o d’affrontare il problema, visto che tanto non esiste! Per fortuna, condividendo quello che mi succede con altri partecipanti ai gruppi, finisco per accorgermi di quello che provo, e questo mi permette di comportarmi di conseguenza.”

Carlotta

L’obsession

“La mia malattia? Dopo tutti questi anni passati a frequentare delle riunioni Al-Anon, questa mi sembra chiara. Assomiglia diabolicamente a quella di un alcolista. L’alcolista non voleva riconoscere di essere alcolista; ed io, non volevo riconoscere la gravità del problema. L’alcolista era ossessionato dal suo consumo; io ero ossessionata da lui: quello che faceva, quello che diceva, dov’era. Non sapevo nemmeno più ciò che provavo, ma sapevo quello che provava lui.”

Dorotea

La paura dell’intimità

” La più grossa conseguenza derivante dall’aver vissuto in una famiglia alcolista, è la mia incapacità a dare fiducia e ad impegnarmi nelle relazioni intime. Voglio sempre che tutto sia garantito. Mi sento velocemente una vittima, anche se l’altro non mi ha fatto niente. Ho paura. Sono terrorizzata all’idea che mi si possa fare del male o respingere. Avendo dei rapporti più sani e rassicuranti con alcuni partecipanti di Al-Anon, mi sono lentamente lasciata andare.”

Denise

Il perfezionismo

“Sono cresciuto in una famiglia alcolista. Era completamente caotico. Mio padre faceva finta di non accorgersi di niente e rientrava il più tardi possibile dal lavoro. Certi giorni mia madre era come una bambina, pronta a giocare con i miei fratelli e me; a volte era come il diavolo, una furia che urlava la sua collera; altre volte ancora, era solamente malata, incapace d’alzarsi dal letto; e raramente, ma comunque qualche volta, era una madre. Non sapevamo mai cosa aspettarci al rientro a casa. La cosa più dura è credere di essere responsabili e di non poter far niente. La conseguenza di questo passato è l’impressione di non essere mai all’altezza. Pretendo da me stesso delle cose impossibili. Metto la barra talmente alta che poi non oso più saltare. Giorno dopo giorno, lotto contro questo perfezionismo che mi distrugge mentalmente.”

Wesley

Storie di vita

Testimonianza di Elena

Elena oggi ha 44 anni. Nove anni fa si è unita ai gruppi famigliari Al-Anon. Non si era mai resa conto dell’alcolismo di suo marito finché quest’ultimo non ha chiesto di essere internato in una clinica dove la malattia è stata diagnosticata. I suoi sbalzi d’umore e la sua irritabilità erano stati giustificati con la sua situazione professionale, con lo stress e una depressione cronica. Scoprendo la malattia di suo marito, Elena ha capito che doveva anche lei cercare aiuto.

Il principe azzurro

Volevo ritrovare il colpo di fulmine iniziale. Per anni sono rimasta aggrappata a quei primi periodi e a quell’immagine del principe azzurro. Non avevo voluto, o potuto, vedere che cambiava così tanto. Avevo dei momenti di lucidità in cui riuscivo a vedere che la nostra vita era diventata un inferno e che lui si comportava con me in modo inaccettabile ma, ogni volta, riusciva a rabbonirmi. Dopo questo genere di discussioni, inoltre mi dicevo:”Sono io che non so come prenderlo. È colpa mia.”. Ed ero ancora io a fargli delle scuse.

L’inaccettabile del quotidiano

Vivevo delle situazioni completamente aberranti, ma neanche me ne accorgevo perché è successo poco a poco, e mi sono abituata. Ero sicura d’aver sposato qualcuno di gentile. Era perfino la qualità più importante. È diventato cattivo, non fisicamente ma moralmente, e non sapevo difendermi. Mi dicevo:”Non è possibile. Domani, quando mi sveglio, sarà diverso.”. È inaccettabile nel quotidiano, ma non lo è diventato dall’oggi al domani.

Quello che Al-Anon ha cambiato

Ho capito che avevo la mia parte di responsabilità nel rapporto catastrofico che avevo con mio marito. Poteva permettersi tutto quello che voleva perché l’accettavo. È stato duro rendermi conto di questo, ma fortunatamente, non ero da sola nel fare questo lavoro. Avevo il sostegno degli altri partecipanti ai gruppi.

Prima, vivevo attraverso l’altro. Oggi, ho imparato a distinguere i miei sentimenti, che siano positivi o no. Prima, mi chiedevo sempre:” Ma si può fare? È socialmente accettabile?”. Non ero capace di prendere una decisione riguardo a me stessa. Ho imparato la libertà. Ho imparato ad essere in armonia con me stessa. Non devo più giustificarmi. È un grande regalo. Paradossalmente quindi, oggi, sono grata d’aver sposato un alcolista. Questa sofferenza, queste difficoltà mi hanno fatto evolvere verso una qualità di vita che prima non immaginavo.


Testimonianza di Esther

Esther ha 53 anni e viene ad Al-Anon da tre anni. Nonostante parecchie terapie, suo marito non è astinente.

La vergogna

All’inizio del nostro matrimonio, mio marito era simpatico ed intelligente, ma, con il passare degli anni, a causa dell’alcol, è diventato ordinario e addirittura volgare. Tornava a casa dal lavoro e andava subito a letto. Verso le ore 11 di sera, si alzava e andava non so dove. Rincasava alle ore 4 del mattino. Alle ore 8, mi chiedeva di chiamare al suo lavoro per dire che era malato. Evidentemente io lo facevo. Mi sentivo male, avevo vergogna ma non sapevo cosa fare. Succede lentamente. Non è che “Ti svegli una mattina ed hai un altro uomo accanto.”. È graduale. E ogni volta, gli trovavo delle scuse. Era più semplice che guardare in faccia alla situazione.

Controllare

La vergogna più grande della mia vita è stata quella di andare a comprare in un negozio un boccalino di due decilitri perché era ciò che gli concedevo ogni sera. Credevo di controllare qualcosa con il mio boccalino, quando invece, più tardi, mi ha confessato che spesso aveva già bevuto una bottiglia di whisky prima di rientrare a casa.

Grazie ad Al-Anon

Partecipando alle riunioni ho imparato che ero responsabile della mia felicità. Adesso, quando qualcosa non va, ho il coraggio d”identificare il problema e mi domando quello che posso cambiare. Ho cambiato totalmente la mia qualità di vita. Per la prima volta in vita mia, ho potuto dirmi:”Puoi pensare a te stessa. È normale. È bene. Non sei obbligata a mettere sempre gli altri in primo piano. Hai il diritto di dire no, se vuoi, e hai la responsabilità di fare ciò che vuoi, anche se gli altri non lo vogliono.”

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